Più di duemila anni fa a Catania era la normalità assistere a battaglie navali e combattimenti all’ultimo sangue tra gladiatori e bestie. All’epoca la città si chiamava Catina ed era passata dall’essere una colonia greca (Katane), a far parte dell’Impero Romano. Al suo interno Catina godeva di molti favori e di un’ottima reputazione, dovuta soprattutto alla sua posizione strategica nel Mare Nostrum. La città, infatti, era un naturale porto commerciale e un discreto punto da cui tenere sotto controllo le province africane. E il ciclope Polifemo vi svelerà qualche dettaglio in più.
Senatus populusque Catanensum
Tra il I e il II secolo d.C. Catina divenne ufficialmente una colonia romana e molti aristocratici vennero inviati nella città per popolarla e per rappresentare l’impero. I patrizi, vivevano in meravigliose ville sulla collina Montevergine (l’acropoli della città) e da lì guardavano il porto e l’Etna maestosa. Proprio in quella zona cruciale, l’Impero Romano decise di costruire uno dei più preziosi regali per il populus catanesium. Nacque così un enorme anfiteatro per i giochi, sul modello del Colosseo di Roma.
Origini Anfiteatro Romano di Catania
L’Anfiteatro Romano di Catina era il più grande della Sicilia e una delle grandi opere dell’Impero insieme all’Arena di Verona, all’Anfiteatro Flavio e all’Anfiteatro di Capua. Inoltre, era unico nel suo genere e nei suoi colori. Per l’alzato, infatti, erano stati usati blocchi squadrati di nerissima pietra lavica dell’Etna. Che risaltavano ancora più in risalto grazie all’accostamento di statue e colonne di marmo bianchissimo. Motivo per cui l’opera passò alla storia come il Colosseo nero di Catania.
Un Colosseo di pietra lavica
Il Colosseo di Catania era il luogo dove si tenevano le naumachie e i giochi romani, e poteva ospitare fino a 15mila spettatori. Purtroppo oggi dell’opera è visibile solo una decina parte, ovvero lo squarcio incastonato tra edifici in stile Barocco in piazza Stesicoro. L’area visibile (e visitabile) riguarda uno spicchio dell’arena e della cavea. E nonostante gran parte dell’opera si trovi sotto molti strati della città moderna, si tratta ugualmente di un piccolo miracolo sopravvissuto a troppi anni di (quasi) indifferenza.
—> Ricostruzione in 3D dell’Anfiteatro Romano di Catania
Fino alla metà del ‘700, infatti, l’amphiteatrum viveva soltanto nei libri di antiquari, storici e archeologi, e in alcuni quadri sul martirio della patrona Sant’Agata. La piazza dal quale oggi affiora era completamente pavimentata e circondata da aiuole. Fu il principe di Biscari il primo a Catania a interessarsene ma si dovette aspettare il 1904 perché iniziassero gli scavi archeologici voluti dall’allora sindaco Giuseppe De Felice. Che tre anni dopo, alla presenza del re Vittorio Emanuele III, inaugurò l’apertura degli scavi. Che coincidono con l’area ancora oggi accessibile.
Abbandono e ripresa dell’Anfiteatro Romano
Quelli seguenti furono anni di abbandono per l’opera in parte riportata alla luce. Dopo il distruttivo terremoto del ‘600, infatti, i marmi dell’anfiteatro vennero staccati e utilizzati per le più imponenti costruzioni barocche, dal Duomo di Catania alla chiesa di San Biagio di piazza Stesicoro. Mentre, durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, l’anfiteatro romano venne usato come rifugio antiaereo per la popolazione.
Oggi – dopo anni di chiusura al pubblico – è possibile visitare (gratuitamente) l’Anfiteatro romano dalle ore 9 al tramonto. Il bene rientra nel Parco archeologico greco-romano di Catania ma a occuparsene di più è il Centro Nazionale delle Ricerche (Cnr). Che propone presso il Catania Living-Lab (via Alessandro Manzoni, 91/D) un tour in realtà aumentata dei settori chiusi al pubblico (per maggiori info clicca qui).
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