La prima cosa da fare è dimenticarsi della razionalità, quindi accettare il fantastico, il mitologico e l’irragionevole che nutre le viscere della Sicilia. Per poi, infine, staccare un biglietto per quest’isola leggendaria. Dove l’aggettivo – leggendario – non sta lì caso. A sapere il perché, poi, c’è da meravigliarsi: la Sicilia non è mai pallida, nemmeno d’inverno, perché ogni volta che qualcuno racconta a qualcun’altro una delle sue leggende lei, la Sicilia, s’accende.
Quella di cui leggerete oggi è molto cara al borgo di Acitrezza (e a tutta la Sicilia) che, per favole, miti e racconti è ricco quanto la sua costa ciclopica lo è di scogli. «La gente lo chiamava Colapesce, perché stava in mare come un pesce, da dove veniva non lo sapeva nessuno, forse era figlio del dio Nettuno», recita un antico canto popolare siciliano tradotto in italiano. La leggenda a cui, dunque, verrete iniziati è quella di Colapesce, ovvero il ragazzo che sorregge da millenni la Sicilia sulle sue spalle, impedendole di sprofondare negli abissi del Mediterraneo.
Le origini della leggenda di Colapesce
A quando risalga la novella popolare, come spesso accade in circostanze simili, non si sa. Di certo, il suo successo nel Sud Italia dell‘800 è tale che se ne contendono la paternità, ormai da secoli, molte città meridionali. Prime su tutte Messina, Palermo e Napoli. Ma è ad Acitrezza, che ogni anno in occasione della festa di San Giovanni Battista, la leggenda si Colapesce si mescola per certi aspetti a una seguitissima pantomima in mare. Ma di questo argomento folkloristico, a cui i ciclopi non tengono molto, parleremo in un’altra e non lontana occasione.
La leggenda di Colapesce
Secondo la trama di origine siciliana (tramandata quasi a metà strada fra Palermo, Messina, l’Etna e il Mediterraneo), un ragazzo di nome Nicola (chiamato Cola) viveva a Messina in una numerosa famiglia di pescatori. Abituato a stare in acqua fin da piccolo, amava più il mare che la terra, i pesci che gli uomini. Così, tra i rimbrotti del padre che lo credeva un perdigiorno e i rimproveri della madre che lo voleva pescatore come gli altri figli, nuotava sempre più in fondo, raggiungendo abissi mai raggiunti dall’uomo.
Nonostante alla famiglia non andasse giù il suo comportamento, tra gli abitanti di Messina iniziava a diffondersi l’ammirazione per quel ragazzo che, quasi come un pesce, trascorreva anche più giorni tra la superficie e i fondali marini. Per poi raccontare loro incredibili storie sul mare. L’ammirazione della gente presto divenne fama fra i potenti che, di cotante imprese, avvertirono l’imperatore Federico II di Svevia. Il quale volle incontrare, a largo di Messina, Nicola – nel frattempo soprannominato da tutti Cola Pesce – e metterlo subito alla prova.

L’imperatore, quindi, prese una coppa d’oro e la gettò in mare, chiedendo a Colapesce di riportargliela e di raccontargli tutto quello che avrebbe visto nei fondali. Cola quindi si tuffò e dopo qualche tornò a galla con la coppa di Federico II – visibilmente stupefatto – in mano e con molti racconti sulle creature del mare. All’impresa appena portata a compimento, l’imperatore ne chiese un’altra: si tolse la corona, la gettò in mare e chiese a Colapesce di riportargliela così come aveva fatto con la coppa d’oro.
Per ore, però, in superficie nulla faceva presagire che Colapesce sarebbe tornato trionfante. Solo dopo qualche giorno il ragazzo tornò a galla con la corona di Federico II in mano ma con uno sguardo triste e spaventato. Negli abissi del mare aveva visto le tre colonne che sorreggevano la Sicilia: la prima era perfettamente integra, la seconda leggermente rovinata ma la terza – quella tra Catania e Messina – vinta da un incendio che sgorgava dal fondo del mare.
Secondo la leggenda, nessuno volle credergli. Nemmeno Federico II che delle sue doti aveva avuto prova. Tant’è che l’imperatore chiese a Colapesce di immergersi ancora una volta e di portargli le prove di quanto diceva ma il ragazzo non voleva saperne. Solo l’orgoglio di non essere considerato un codardo lo convinse a tuffarsi, insieme a un sacchetto di lenticchie che, se mai fosse salite a galla, avrebbero testimoniato che lui non sarebbe mai più tornato. Cosa che accadde. Motivo per cui, da allora, i suoi concittadini cominciarono a credere che Colapesce fosse rimasto nei fondali a sorreggere la colonna vinta dal fuoco che rischiava di far affondare la Sicilia.
Consiglio per i viandanti
Se vi trovate ad Acitrezza, il gigante con un occhio solo in mezzo alla fronte, vi consiglia di fare un tuffo (è proprio il caso di dirlo) in un’ottima putìa (una sorta di street food di pesce) che da Colapesce prende proprio il suo nome e che alla leggenda del ragazzo prodigio ha dedicato gli arredi (e le mura) del proprio locale.
‘A Putìa di Colapesce (indirizzo Facebook).
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